Franco Morone intervistato da Michele Lideo

a cura di Michele Lideo e Nico Ruffato

Camposampiero (Pd) – 4 Marzo 2018

VIDEO PARTE I

VIDEO PARTE II

(Trascrizione parte I)

1. Ciao Franco è un piacere averti nostro ospite e fare questa chiacchierata con te; cominciamo parlando della tua carriera come musicista: la passione per la musica nasce in famiglia? Hai avuto i primi contatti con la musica influenzato da qualcuno in particolare?
Grazie a voi per questo invito, torno sempre volentieri in una zona dove ci sono cari amici e appassionati di chitarra.
In famiglia non avevo musicisti se si esclude uno zio batterista che lavorava sulle navi da crociera che andavano e tornavano dagli States. Devo dire che mio padre era molto sensibile alla musica ed aveva un forte trasporto emotivo che mi ha sicuramente trasmesso, in seguito sarebbe diventato il mio primo fan. Da piccolo i miei notarono questa mia speciale vocazione così ad undici anni iniziai a prendere lezioni di chitarra a plettro: le prime note sul pentagramma, i primi accordi, i primi metodi e libri di solfeggio…

2. Da ascoltatore, quali generi musicali ti hanno maggiormente appassionato e hanno contribuito alla tua formazione?
Quando entrai a far parte di un gruppo suonavamo ovviamente Beatles, Rolling Stones, Creedence e canzoni di gruppi italiani, insomma musica dei primi anni settanta. La prima folgorazione la ebbi con il suono di chitarra di Jimmy Page dei Led Zeppelin perché sentivo una carica e una libertà espressiva che non avevo mai avvertito fino ad allora. Poi nei loro album c’erano alcune canzoni che iniziarono ad avvicinarmi alla chitarra acustica. Quando poi mi trasferii a Bologna le scelte erano molto più ampie. Rimasi molto incuriosito dalla Takoma, una piccola etichetta di un chitarrista un po fuori di testa che si chiamava John Fahey. A pensarci bene un aspetto che riusciva a prendermi più di altri era la libertà espressiva e il tirarsi fuori da certi schemi. Nel blues ovviamente trovai molte delle cose che stavo cercando. Poi più avanti altri elementi hanno contribuito alla mia formazione, parlo delle esperienze con i gruppi, gli interscambi con bravi musicisti e intorno a tutto ciò lo studio personale.

3. Quali album sono stati, e sono tuttora, fondamentali e immancabili nella tua collezione?
Moltissimi ma per brevità cito soltanto dei nomi anche perché i titoli degli album formerebbero una lista troppo lunga. Il rock e rock progressivo è stato un genere importante per tutta una serie di chitarristi che suonavano in gruppi come Deep Purple, Frank Zappa, King Crimson, Yes, Genesis. Poi c’è stato il genere jazz/fusion quindi Weather Report, Pat Metheny, Michael Brecker, Oregon. Dal versante più acustico/tradizionale Ry Cooder, Joni Mitchell, Crosby, Stills, Nash e Young, Leo Kottke. Dalla nuova musica acustica Michael Hedges, Alex de Grassi, Metamora, Montreaux Band, Philip Aaberg, George Winston. Dal folk revival irlandese Donal Lunny, Dave Spillane, Bothy Band, John Renbourn, Bert Jansch, David Graham. Infine ho sempre apprezzato le diverse alchimie risultanti da fusioni di stili e generi, incroci di culture diverse che sviluppano qualcosa di nuovo.

4.  Parliamo della tua formazione prettamente chitarristica: come hai cominciato il percorso di studio con la chitarra?
La mia formazione a parte i primi 3 anni di studio è stata prevalentemente autodidatta. Magari avessi incontrato dei bravi insegnanti sulla mia strada avrei sicuramente risparmiato tempo. Iniziai a farmi un repertorio “tirando giù” ad orecchio quello che mi piaceva ed allenando l’orecchio a riconoscere accordi, intervalli, scale e progressioni di accordi. I brani che imparavo erano i miei esercizi e consideravo concluso uno studio solo quando l’esecuzione risultava scorrevole. Quando hai l’opportunità e l’esigenza di suonare dal vivo tutto deve funzionare bene ed essere presentabile. Oggi mi sembra che molti ragazzi abbiano poche opportunità di suonare in giro,  magari si esibiscono di fronte al proprio insegnante o registrano un video per You Tube. Spero in futuro possano avere più occasioni perché le esperienze dal vivo ti rendono sicuro e  motivato.

5. Nel tuo percorso musicale un posto centrale è sicuramente ricoperto dal blues: come ti sei avvicinato a questo genere musicale?
Mi è sempre piaciuto il blues, sentivo la sua influenza dappertutto. A Bologna iniziai a suonare in quasi tutte le osterie del centro e di fuori porta. Si suonavano classici come Hesitation Blues, Cocaine e tanti altri blues tradizionali e del folk revival. Ogni bluesman che ascoltavo dai dischi o dalle cassette aveva un proprio stile. Ho pubblicato il mio primo libro “Metodo per Chitarra Blues”  proprio tenendo a mente gli idiomi ed i linguaggi di questo genere. In questo senso si è rivelata utilissima l’esperienza di ear training che avevo avuto in precedenza perché mi consentiva di avvicinarmi anche a brani più impegnative. Quello che ho cercato di fare in quel libro è di personalizzare i diversi contenuti. Ho quindi composto licks e blues con frasi che ritenevo belle e importanti, pensate anche con una certa finalità didattica. Anche se a quel tempo la Bèrben stampava libri con il solo pentagramma e senza intavolature le vendite andarono veramente forte. Oggi il volume è ristampato in Germania con il titolo “My Acoustic Blues Guitar”. 

6. Oltre al blues un’altra parte fondamentale della tua produzione si è concentrata sulla musica tradizionale irlandese e la musica popolare italiana, parlaci dell’approccio che hai avuto a questo repertorio e cosa ti ha spinto ad affrontarlo.
Ricordo i concerti dei Pentangle, Alan Stivell, poi John Renbourn, Bert Jansch, Duck Baker, chitarristi che iniziavano ad ampliare un repertorio che fino ad allora era stato confinato alla musica americana. Mi resi conto che dalle arie antiche di O’Carolan alle danze tradizionali c’era diverso materiale interessante che si prestava ad essere interpretato per sola chitarra.
Rapito da questo genere ho pubblicato “The South Wind” per la AMRecords tedesca, oggi ristampato in Italia come Celtic Fingerstyle Guitar. E’ in assoluto il libro che ha venduto più di altri. Poi ho arrangiato e scritto altri brani celtici per l’album “Road to Lisdoonvarna” ma pubblicando solo brani singoli che sono disponibili dal mio shop on line. Ne vendiamo molti soprattutto in paesi come Stati Uniti, Canada e UK. Sono ancora molto attratto dalla musica celtica perché trovo che abbia un potere melodico fortissimo, quasi magnetico. In origine questa è nata come musica quasi priva di armonia, se si eccettua qualche nota di bordone, erano tutte melodie suonate all’unisono, gli accompagnamenti che sentiamo oggi sono arrivati molto dopo. Comunque dopo questa esperienza ho capito anche come arrangiare brani di folk italiano, perché comunque tra arie lente, gighe e tarantelle, l’acustica è il tipo di chitarra più adatta per interpretare il repertorio tradizionale. Italian Fingerstyle Guitar, sia come libro che come cd devo dire che mi ha dato molte soddisfazioni soprattutto quando poi ascolti suonare musica italiana da chitarristi di diversi paesi del mondo. 
(Trascrizione parte II)

7. La composizione originale è un tuo marchio distintivo; come affronti una nuova idea compositiva? Puoi parlarci del tuo processo compositivo : parti da un’idea melodica o da altri elementi? Solitamente scrivi un brano “di getto “o hai bisogno di più tempo per elaborarlo nella versione finale?
Questa è una domanda che arriva nell’ordine giusto perché abbiamo parlato di tradizione e di arrangiamento, esperienze che dovrebbero sempre arrivare prima di affrontare una materia come quella della composizione. Lo dico perché sono molti i giovani che si lanciano a comporre brani originali senza avere la necessaria esperienza. La musica che compongo anche trattando generi diversi resta abbastanza dichiarativa, quindi melodica. In un brano puoi avere diverse linee melodiche o idee interessanti salvo poi trovare il modo di metterle insieme secondo un criterio musicalmente omogeneo e coerente. Il ritmo entro il quale è inserita la melodia è anche molto importante, una frase banale a volte può diventare interessante cambiando la posizione delle note. Costruire un’armonia intorno ad una idea melodica è una prassi molto consolidata, ma non c’è una regola precisa. A volte la linea melodia può essere suggerita da una progressione di accordi o anche da un ritmo particolare. Di solito spendo molto più tempo per elaborare la versione finale perché poi riascoltando meglio quello che suoni ti rendi conto di cosa poter cambiare, aggiungere…. o più spesso togliere.

8. Hai suonato con grandi artisti in tutto il mondo e in festival importantissimi; ne ricordi qualcuno con particolare piacere? Hai qualche aneddoto curioso che ti è capitato lungo la carriera?
Ricordo un blues dal vivo suonato insieme a John Renbourn, ero così emozionato…meno male che erano solo tre accordi! In un festival nel Liechtenstein dove suonavano anche gli Oregon, Ralph Towner non era arrivato per i soliti ritardi da Fiumicino e in più gli avevano rubato le valigie. Quindi Paul McCandless mi chiese di suonare qualche brano con loro, wow fu una esperienza indimenticabile. Poi ho diviso il palco e suonato con molti chitarristi da Tim Sparks ad Alex De Grassi, da Duck Baker a Woody Mann. La maggior parte del tempo che si girava insieme per concerti si raccontavano barzellette, ma queste a distanza di tempo le dimentichi, l’esperienza di aver condiviso la musica e il palco con altri musicisti invece resta.

9. Il mondo della musica moderna si sta evolvendo sempre di più con metodi di comunicazione e modi di “utilizzo” della musica, privilegiando spesso un ascolto veloce e immediato. Pensi che la musica acustica abbia ancora un ruolo centrale nel panorama contemporaneo? Se si, qual’è il suo posto, secondo la tua esperienza?
La musica che amiamo è la colonna sonora della nostra vita chiaro che oggi tutto è così veloce ed immediato che anche il consumo di musica ne è contagiato. Questo provoca un utilizzo molto approssimativo della musica che in molti casi segue solo regole della velocità e del marketing. Quello che possiamo fare come singoli è sapere cosa ascoltiamo, sapere cosa ci piace senza lasciarci fuorviare da ascolti casuali. Sicuramente da ascoltatore puoi dare alla musica un ruolo centrale o di commento sonoro. Il problema è sempre la qualità, ci sono proposte scadenti che ci raggiungono in maniera invadente che a volte è meglio sapere come difendersi. Le cose migliori sono quelle che si cercano non quelle che si trovano casualmente o si accettano passivamente. Il problema poi oggi è che i generi di nicchia finiscono per essere molto più isolati. E’ un fatto che oggi molti festival di musica acustica, blues e jazz hanno chiuso la programmazione. I comuni sia in Italia che in Europa tagliano i finanziamenti perché per gli organizzatori e per i politici questi generi musicali non richiamano abbastanza pubblico. Così investono su generi di largo consumo dove anche il ritorno elettorale può essere maggiore.

10.  La chitarra acustica ha sviluppato, specialmente negli ultimi anni, molte tecniche spettacolari che spingono i chitarristi a suonare sempre più una musica da “vedere” più che ascoltare; pensi che la tradizione della chitarra acustica abbia ancora la sua forza espressiva oggi?
Vedere il musicista più che ascoltarlo sicuramente distrae dai veri contenuti musicali. Ma penso che certi video quando esibiscono solo tecnica ed animazione te ne accorgi. Da Michael Hedges in poi la scuola del tapping e delle percussioni sulla chitarra acustica ne ha fatta di strada. Consiglio per non perdere la bussola è quello di orientarsi sempre sulla qualità della musica. Sicuramente anche delle belle immagini con commenti sonori adeguati possono essere un binomio molto espressivo e potente.

11.  Che consigli ti senti di dare a un giovane chitarrista acustico, su cosa dovrebbe puntare? 
Con la chitarra acustica consiglio di crescere avendo basi e riferimenti legati ia generi tradizionali perché è uno strumento che trae la sua origine dal blues, quindi blues, jazz, musica celtica, etnica. Per esperienza dico che è bene studiare alcuni anni di chitarra classica per acquisire un tocco e una pulizia di suono, poi sicuramente avere lungo la strada esperienze con altri musicisti. Importante è arrivare a suonare qualcosa di personale solo dopo aver avuto tanto repertorio basato su generi e stili diversi. 

12.  A quale progetto stai lavorando adesso? Parlaci un po’ dei prossimi lavori che hai in programma.
Sto registrando nuovi brani per un prossimo album, ho avuto dei ritardi tecnici tipo un vecchio pre-amplificatore da riparare, poi adesso un microfono che non va, poi ti fermi perché le unghie non sono a posto.. Comunque i ritardi a volte hanno anche un aspetto positivo perché hai più tempo per i dettagli.  
Di recente mi piace arrangiare standard jazz per sola chitarra, ho già una ventina e passa di arrangiamenti. Forse pubblicherò qualcosa a riguardo. Il problema è che nel jazz dopo il tema c’è l’improvvisazione che da suonare in fingerstyle è veramente un azzardo, ma ho già alcune idee che sono in parte quelle sviluppate per Miles of Blues.  Poi c’è Raffaella che tra una canzone e l’altra ha creato un nuovo sito molto bello  www.acousticguitarworkshops.com, se vi capita andatelo a vedere, ci sono tutte le date dei prossimi seminari nel nostro centro di Osimo e quelle del workshop annuale di Malosco dove i partecipanti si esibiscono anche in concerto. Siamo arrivati al 12° anno e devo dire di aver vissuto bellissime esperienze a contatto con tanti appassionati e chitarristi. C’è in particolare un brano, tratto dal mio libro Basic Fingerstyle Guitar, che suoniamo insieme con l’orchestra di chitarre e che trasmette sempre a tutti un certo entusiasmo. Il titolo è venuto spontaneo : “Le Meglio Storie con la Mia Chitarra” www.francomorone.com