Il blues: una lingua parlata
Un genere musicale è simile ad una lingua parlata che ha un proprio vocabolario, una terminologia, delle regole grammaticali, una punteggiatura e così via.
Allo stesso modo, una tradizione musicale conserva elementi che contraddistinguono il proprio linguaggio con determinati:
– intervalli di scale
– accenti
– dinamiche
– ritmiche
– progressioni
– armonizzazioni tipiche
secondo regole certe.
Il blues non ama regole fisse
Fin qui tutto semplice. Solo che il blues per sua natura non ama troppo regole fisse, nasce e si sviluppa in un contesto non preordinato nei dettagli, c’è poco di formale.
Tutto nasce in modo naturale e spontaneo, prendere o lasciare, terreno quasi incolto eppure a suo modo produttivo.
Più che lingua scritta risulta linguaggio parlato fatto di dialetti e slang che si acquisiscono con la passione dell’ascoltatore unita al kilometraggio del musicista.
L’esperienza diretta
L’esperienza diretta fatta di pratiche trasmesse oralmente, acquisite ad orecchio, fa del blues il genere tradizionale per eccellenza. Sono stati poi i bianchi a codificare scrivendo e cercando di fissare le note sulla carta, passaggi che però, per loro natura, risultano mutevoli e soggetti a variazioni sullo stato d’animo del musicista. Questa pratica ha portato a forme di improvvisazione sviluppatesi poi con il jazz.
Cosa sarebbe il “jazz” senza il blues?
Cosa sarebbe il jazz senza il blues? Probabilmente un linguaggio privo di spina dorsale.
Ho ascoltato musicisti che aggirando il blues sono saltati a piè pari nel jazz, risultato?
frasi complesse ed esecuzioni cerebrali, frutto di puro esercizio accademico.
Note che come un fiume in piena si spargono ovunque, a caso.
Le frasi semplici e di senso compiuto sono considerate ovvie, troppo facili da suonare.
L’insegnamento di Miles Davis: usare il silenzio
Quando un linguaggio diventa carente nei suoi tratti essenziali si stacca dalle proprie radici e diventa qualcos’altro.
Come insegna Miles Davis, occorre non solo suonare le note giuste, quelle ‘black’ per intenderci, ma anche evitare di suonarne troppe.
Quindi sapere usare il silenzio che si traduce in un sapiente utilizzo delle pause.
Immaginiamo l’ascoltatore investito da incessanti quartine di sedicesimi sparate senza respiro, è facile che si stanchi subito. Il musicista che le suona, senza ascoltarsi, al contrario sembra proprio non stancarsi mai.
Può sembrare un paradosso, ma a volte la voglia di stupire, dimostrare a tutti i costi la propria abilità in maniera auto-celebrativa sono tentazioni che, se non regolate, possono prendere il sopravvento.
Proprio per questo il musicista, durante il suo percorso artistico, è meglio che conservi quella sana passione di ascoltatore, soprattutto la musica che lui stesso produce.
L’ascoltatore ‘musicista’
Nel caso del blues, l’ascoltatore-musicista ne coglie il mood, gli accenti, le ululanti blue notes, i vibrati, tutti quei sentimenti sottintesi o apertamente dichiarati che saltano fuori dalle righe del pentagramma.
Nel caso non succeda nulla di tutto ciò, prima che si covi il dubbio di non essere in grado di emozionarsi, è meglio rimettersi in viaggio alla ricerca, lontano altre miglia. A volte è solo questione di cercare altrove. Si, perché spesso le note che troviamo occasionalmente senza fatica non bastano. Occorre cercare in lungo, in largo, fino ai confini.
La ricerca della frase che ‘muove’ dentro
Così un giorno troviamo una frase che ci muove qualcosa dentro perché ha dei contenuti. Successioni di note e progressioni armoniche incastonate su di una ritmica che ci prende e ci porta via.
Adesso sappiamo dove e come cercare, funziona così anche con le persone, i luoghi e tutto ciò che amiamo avere intorno. Quando diventiamo consapevoli di quello che ci piace veramente abbiamo fatto un passo avanti come persone e come musicisti. Attraverso una rigida selezione di ciò ci appassiona riusciamo anche a trasmettere qualcosa di coerente, una personalità, un nostro stile.
A questo punto non è una scelta, ma una conseguenza naturale.
E’ giusto che non tutto del blues ci piaccia
E’ normale che in un genere musicale si trovino cose che ci lasciano indifferenti.
Nel blues troviamo tutto e il suo contrario: passione ed indifferenza, trasgressione e tradizione, bianco e nero, carica sessuale ed astinenza forzata, religiosi gospels e profane pratiche voodoo, blues delle prigioni e canti di libertà, e poi ancora walking, talking blues.
Chi ha un blues, come si diceva un tempo, è uno che ha qualcosa da dire, che ha una storia vissuta in prima persona, non necessariamente triste. Quello della tristezza del blues è un luogo comune.
Comunicare per coinvolgere gli altri
Si tratta di qualcuno che comunica e che ha voglia di coinvolgere gli altri.
E’ forse per questo che abbiamo da subito amato il blues.
E’ stato un amore a prima vista, non certo un semplice prurito giovanile visto che dura ancora.
Il successo del blues in tutto il mondo simbolicamente rappresenta da sempre la rivincita di un popolo oppresso. E’ storia di tanti anni fa, ma è sempre bello ricordarla, perché mai come in questo caso la musica ha contribuito all’integrazione di culture diverse.
E poi nel senso strettamente strumentale come resistere al trasporto del ritmo, energia che ramifica ulteriori stili e generi come ragtime, boogie, swing, jazz, rock, country.
Un’energia che entra nelle canzoni e nelle ballate fino ai mix multi etnici.
Un viaggio di contaminazioni infinite perché comunque nel blues la strada diventa più importante della stessa destinazione, come nelle storie di Kerouac.
Non importa se sia la strada maestra, una mulattiera o magari il crocicchio del film Crossroads.
Piuttosto anche nella vita reale è meglio evitare patti col diavolo. Si rischia di dovergli essere riconoscente tutta una vita. Ad un certo punto della nostra esistenza un incrocio ci obbliga a prendere una direzione più seriamente, altrimenti come nella canzone di Jimmy Cliff ci ritroviamo seduti nel limbo, aspettando che qualcuno ci porti lungo una strada che non abbiamo scelto.
Le note suonate dicono molto più di quelle scritte
Wow! si è fatto tardi adesso. Avrei dovuto parlarvi del mio Cd Miles of Blues ma non è mai facile parlare della propria musica, poi le note suonate talvolta dicono molto più di quelle scritte, per chi le ascolta, per chi ancora ci crede.